Storie e leggende da me inventate

A volte mi trasformo in un cantastorie, cioè un viaggiatore tra parole e fantasia. 

Invento storie e racconti dimenticati, perché nulla è più bello che far sognare chi ascolta. Con le mie parole e un pizzico di magia, vorrei far entrare i miei lettori in mondi incantati.

Invento, perché la realtà ha bisogno di fantasia.

Racconto, perché i sogni devono essere condivisi.

E se per un attimo riesco a far brillare gli occhi di chi mi ascolta, allora so di aver compiuto il mio piccolo incantesimo.

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La Leggenda del Monaco e della Contadina

Correva l'anno del Signore 950, e sulle sponde della laguna, dove l'abbazia di Sant'Ilario di Malcontenta si ergeva austera tra le nebbie e i canneti, si sussurrava di un amore impossibile, un amore che mai si consumò, ma che ardeva come fuoco sotto la cenere.

Il giovane frate Martino era giunto all'abbazia da pochi anni.

Era un uomo di preghiera, di silenzi, di sguardi rivolti al cielo. Ma il destino volle che un giorno, mentre era intento a raccogliere erbe officinali lungo il sentiero che portava al villaggio, il suo sguardo incrociasse quello di Lucia, una giovane contadina dal volto pulito e dagli occhi profondi come la notte.

Lucia era povera, figlia della terra e dell'acqua, cresciuta tra i campi e le barene, ma il suo cuore era grande e puro. Da quell'incontro, senza mai dirselo, senza mai toccarsi, i due iniziarono a parlarsi attraverso gesti, attraverso le piccole cose.

Ogni giorno, all'alba, Martino pregava per Lucia, invocava su di lei la protezione del Signore, chiedeva per lei giorni di sole e raccolti abbondanti.

E Lucia, come risposta silenziosa, ogni mattina lasciava per lui una piccola pagnotta di pane ancora caldo su una pietra vicino al chiostro dell'abbazia. Non si incontravano mai, ma ognuno sapeva che l'altro c'era.

Un giorno, un'epidemia colpì il villaggio.

Martino, sfidando le regole della clausura, si recò tra i contadini per portare erbe curative e conforto.

Quando vide Lucia febbricitante nella sua povera capanna, sentì il cuore stringersi come mai prima. Rimase accanto a lei tutta la notte, recitando preghiere, bagnandole la fronte con panni freschi.

Lucia guarì, e in segno di gratitudine, una sera, mentre il sole moriva dietro la laguna, si avvicinò a Martino. Sapevano entrambi che non potevano appartenersi, che la vita li aveva messi su sentieri diversi, ma l'amore, quello sì, era reale. Lucia gli sfiorò appena il viso e, con la dolcezza di un soffio di vento, posò un bacio sulla sua guancia. Fu il primo e l'ultimo contatto tra loro.

Gli anni passarono. Martino divenne un monaco anziano, Lucia una donna canuta che continuava a impastare il pane. Nessuno dei due si sposò mai, nessuno dei due dimenticò l'altro.

Ancora oggi, nei giorni di nebbia, quando la laguna tace e il vento porta con sé il profumo del pane caldo, qualcuno giura di vedere, tra le rovine dell'antica abbazia, l'ombra di un monaco inginocchiato e, poco più in là, quella di una donna che lascia un'offerta invisibile su una pietra levigata dal tempo.

Così la leggenda racconta, e così, forse, l'amore vero si manifesta: nei gesti semplici, nel sacrificio silenzioso, nell'attesa di un'eternità insieme.
 

(pubblicata in data 14 febbraio 2025 nel sito:   https://www.centrostudistoricimalcontenta.it/   )

San Francesco ed il miracolo di Malcontenta nel 1220

Siamo nel 1219, San Francesco è in Egitto per incontrare il Sultano Malik al-Kamil a Damietta.

Era in corso la V CROCIATA.

E' «l'ardore della carità» a muoverlo, dice il suo biografo Tommaso da Celano: «tentò di partire verso i paesi infedeli, per diffondere, con l'effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità»

DAMIETTA era la città sul delta del Nilo considerata dai crociati la chiave per raggiungere il Cairo e andare al cuore dell'esercito musulmano, nell'impossibilità di conquistare Gerusalemme.

I due si incontrarono subito dopo una grandiosa sconfitta che i Crociati subirono. In quell'occasione più di 6000 CRISTIANI MORIRONO IN BATTAGLIA.

Non possiamo sapere con certezza cosa si dissero S. Francesco e Malik al-Kāmil. Con sicurezza, sappiamo solo che il Sultano d'Egitto accolse il poverello d'Assisi e LO RILASCIO' INCOLUME, fatto di per sé strabiliante visto il periodo di forte tensione tra musulmani e cristiani.

Ma, come raccontano molti storici, MALIK AL-KAMIL, nipote di Saladino e Sultano di Egitto e Palestina, era un uomo di cultura, conosciuto per la sua giustizia e per il suo interesse verso le discussioni scientifiche e religiose.

Subito dopo Francesco lascerà l'Egitto e farà ritorno in ITALIA grazie ad una nave veneziana, che lo porta fino a TORCELLO.

Era stanco e desideroso di trovare un luogo tranquillo, lontano dalle folle che lo cercavano.

Ebbe la fortuna di essere ospite del NOBILE VENEZIANO Jacopo Michiel, in un'isola di sua proprietà (l'attuale Isola di San Francesco del Deserto).

Lasciata l'isola fa ritorno verso ASSISI.

Ed ecco, quindi, che passa di qui, per le nostre terre, per Malcontenta. Era la tarda Primavera del 1220.

Il sole, quel giorno, era già alto nel cielo, illuminava la laguna e le sue acque immobili riflettevano il chiarore dorato del mattino. Il santo camminava scalzo, con il saio logoro e il volto segnato dalla stanchezza, ma con lo sguardo colmo di pace.

Gli abitanti del luogo, contadini e pescatori, lo riconobbero subito. La voce del suo arrivo si sparse rapida, e in breve una piccola folla si radunò attorno a lui. Lo accolsero con rispetto, offrendogli pane e acqua. Ma l'acqua che avevano era salmastra e torbida: la laguna non concedeva facilmente acqua dolce, e le poche fonti presenti erano spesso inquinate o insufficienti.

Una donna anziana si fece avanti, inginocchiandosi davanti a Francesco con le mani giunte. Era pallida e magra, i segni della malattia erano evidenti sul suo volto scavato. Con voce tremante, gli raccontò che da mesi nessuno nel villaggio riusciva più a trovare acqua limpida da bere. I pozzi erano quasi asciutti e quelli rimasti davano solo un liquido amaro e insalubre. Molti si erano ammalati, i bambini più piccoli soffrivano di febbri continue e alcuni erano già morti.

Francesco ascoltò con attenzione, poi sollevò gli occhi al cielo. Con la sua voce mite, ma ferma, disse: "La Provvidenza di Dio non abbandona mai i suoi figli".

Si inginocchiò sulla terra secca, posò il palmo della mano sul suolo e iniziò a pregare. Il popolo trattenne il fiato. Un silenzio irreale avvolse la campagna. Poi, all'improvviso, un fremito percorse la terra sotto di loro. Un suono profondo, come un respiro sotterraneo, si levò dalla polvere.

Dove San Francesco aveva posato la mano, l'acqua cominciò a sgorgare, limpida come cristallo. Scivolava lenta all'inizio, poi sempre più abbondante, formando una piccola polla che si trasformò presto in una sorgente. Gli abitanti si affrettarono a riempire le loro mani e le loro brocche, bevendo con stupore e gioia. L'acqua era dolce, pura, fresca come non ne avevano mai avuta prima.

La donna malata, guidata da due giovani del villaggio, si inginocchiò accanto alla sorgente e bevve. Subito, il suo volto si distese, il colorito tornò sulle sue guance, e la debolezza che la tormentava da mesi sembrò dissolversi. Si alzò da sola, con gli occhi colmi di lacrime, e guardò Francesco con gratitudine infinita.

"Lode a Dio Altissimo, che dona la vita ai suoi figli"! esclamò il santo, e tutti si unirono a lui in preghiera.

La leggenda della Dama rinchiusa

Tra le nebbie del Brenta e le ombre degli alberi secolari di Villa Foscari si cela una delle storie più misteriose e tristi della Serenissima.

Una leggenda racconta che la villa debba il suo soprannome, 'La Malcontenta', al destino tragico di una dama di casa Foscari, condannata a un'esistenza di solitudine tra quelle mura imponenti.

La donna, di straordinaria bellezza e spirito ribelle, era famosa a Venezia per la sua condotta licenziosa e per la sua vita dissoluta, ben poco conforme agli ideali morali dell'epoca. Le voci sulla sua libertà di costumi si fecero sempre più insistenti fino a raggiungere il marito, un nobile Foscari, che per punirla decise di relegarla nella villa di campagna lungo il Brenta.

E così, all'improvviso, la donna scomparve dai palazzi veneziani, dalle feste e dai balli.

Fu rinchiusa nella villa, sola, senza possibilità di contatti con il mondo esterno.

Da quel momento, nessuno la vide mai più: non uscì mai dalla dimora, né si affacciò alle finestre per scrutare il lento scorrere del fiume.

Ma il vero mistero è un altro: come riuscì a sopravvivere? Nessuno portava cibo alla villa, nessun servo vi abitava, nessuna candela illuminava le sue stanze nelle notti più buie. Eppure, la leggenda racconta che la donna visse lì per trent'anni, prima che la morte venisse a reclamarla.

Una notte d'inverno, raccontano i vecchi del posto, un giovane pescatore del Brenta si avventurò nei pressi della villa durante una tempesta. Cercava un riparo dal vento gelido e dalla pioggia battente. Bussò alla grande porta di legno, ma nessuno rispose. Tuttavia, mentre si voltava per andarsene, sentì un rumore flebile, simile a un lamento, provenire dall'interno.

Con il cuore in gola, sbirciò attraverso una fessura delle imposte chiuse e vide qualcosa che lo paralizzò: una figura pallida e vestita di bianco si aggirava lentamente per la grande sala deserta, con un lume tremolante tra le mani. Il viso era emaciato, gli occhi spenti, come quelli di un'anima già oltre il mondo dei vivi.

Il giovane scappò terrorizzato e raccontò l'accaduto agli abitanti del villaggio. Da allora, nessuno osò più avvicinarsi alla villa nelle notti di tempesta. C'è chi dice che la dama fosse ancora in vita e che, in qualche modo, sopravvivesse di sola penitenza. Altri sostengono che fosse ormai solo un'ombra, un'anima condannata a vagare tra le mura della villa per l'eternità.

E ancora oggi, chi si avvicina a Villa Foscari nelle notti senza luna, giura di udire sospiri e sussurri portati dal vento...

Il grande freddo del gennaio 1709


L'inverno del 1709 fu una stagione di freddo eccezionale in Europa. Si ritiene sia stato l'inverno più freddo degli ultimi 500 anni in Europa.

Nel Regno Unito venne chiamato Great Frost e in Francia Le Grand Hiver, e può essere paragonato, in tempi storici, solo agli inverni del 1407 e 1408.

Ecco cosa avvenne:

Nel dicembre 1708 il freddo si impadronì della Russia, portando un gelo inusuale anche per tali regioni. Poi si "gonfiò" e si verificò il cosiddetto Anticiclone Termico Russo.

Nella notte dell'Epifania, tra il 5 e il 6 gennaio 1709, irruppe tenacemente in Europa.
A Roma tra il 6 e il 24 gennaio nevicò 13 volte.
In Pianura Padana cadde 1 metro e mezzo di neve.

Si raggiunsero temperature eccezionali:
a Parigi −23,1 °C
a Venezia −17,5°
In certi posti del Dominio Veneto, non molto lontani da Venezia, la neve era salita alta fin quasi a due metri, tanto che non si era più potuto neanche aprire forni, mercati e botteghe.

In poco tempo ghiacciò tutto prendendo molti alla sprovvista, e gelò anche la Laguna di Venezia di un ghiaccio così spesso e solido che ci si poteva camminare sopra tranquillamente anche portando un sacco pieno in spalla ...

Faceva un "freddo cane" ovunque, anzi: "un freddo bècco" come diceva la Cronaca.

Arrivarono a Venezia anche alcuni echi di storie della Terraferma, da dove giungevano più che spesso discorsi di cose strane e strampalate: si raccontava che era tutto bianco ghiacciato come in preda a "una stregonica e deleteria magia", che erano andate a male tutte le coltivazioni, e che erano morti orti, giardini, coltivazioni, campi e tutti gli agrumi … e che gli animali gemevano nelle stalle per la mancanza d'acqua e di giusto fieno …

Un giorno giunse anche la STORIA DI UNA GIOVANE DONNA DI MALCONTENTA che vinta dal freddo e dalla miseria accese un fuoco di braci sotto al letto del suo pargolo prima di uscire alla ricerca di qualcosa da mangiare.
.… Il letto prese fuoco, e al suo ritorno trovò l'intera casa carbonizzata compresa la sua creatura … Una storiaccia … purtroppo …

E ci fu anche chi, sempre nelle aspre lande desolate della Terraferma, pensò bene di sfidare la sorte e cercare qualche buon affare recandosi "sacco in spalla" fino a Venezia attraversando la Laguna ghiacciata …

S'era sparsa voce nelle campagne che a Venezia dove il gelo spaccava tubi e bottiglie nottetempo: "se moriva de fame e freddo pur avendo i denari" …

Perciò qualche logoro e polveroso contadino munito di pesanti "sgàlmare chiodate" prese più di qualche volta un paio di polli, delle uova, e una gallina dal pollaio, un'altra prese un sacco di farina dal granaio, un agnellino o un porcellino dalla stalla, o dei salami preziosi dalla dispensa, e si avviarono alla volta di Venezia biancovestita pregustando il lauto guadagno e spingendo il loro carretto o traballante biroccio fino sull'orlo della Terraferma dove iniziava la Laguna paralizzata.

Tutte le storie sopra descritte, sono stati da me depositate presso la SIAE, con il mio nome o sotto uno pseudonimo, con il nome originale della Storia o sotto altro titolo.  

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